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“Cosa farò da grande?”
- 11 Luglio 2016
- Posted by: Laboratorio Didattico
- Category: Blog & News

Questo mese, insieme alla dott.ssa Valentina Filippi, Psicologa – Psicoterapeuta, affrontiamo il tema della scelta della facoltà universitaria, ossia “cosa farò da grande”?
“SCEGLIERE”
“Quando andai a scuola, mi chiesero cosa volessi essere da grande. Scrissi FELICE. Mi dissero che non avevo capito il compito, ed io dissi loro che non avevano capito la vita”
Ognuno di noi si trova frequentemente di fronte a diversi bivi, in cui è necessario prendere una decisione. La domanda sia prima che dopo la decisione intrapresa è sempre la stessa: è la scelta giusta oppure quella sbagliata?
Una delle grandi scelte che può far parte della vita di una persona è quella universitaria.
Pensare al mercato del lavoro è importante ma non può essere l’unico fattore, unire la praticità al talento personale invece può essere una buona via.
Vari fattori possono influenzare tale scelta, le aspettative familiari, la voglia di allontanarsi o meno dal posto in cui si vive, l’autostima, le relazioni sociali, le possibilità economiche, la capacità di ascolto delle proprie preferenze, la consapevolezza delle proprie capacità rispetto allo studio di alcune materie.
La domanda: cosa vuoi fare da grande? Non è l’unica importante, bisogna anche sapere quello che si vuole dalla vita, non solo in termini di lavoro. Si preferisce la stabilità o i viaggi e le avventure? Si è disposti a studiare tanti anni per fare il medico o ci si vede più in lauree pratiche e triennali?
Un altro importante aspetto è informarsi in modo approfondito su ciò che offrono i corsi di Laurea.
Capire cosa offre ogni facoltà, quali sono le materie trattate, i tutor dei corsi, i laboratori, la possibilità di frequentare un semestre all’estero sono elementi da tenere in conto. Soprattutto nelle grandi città dove gli atenei sono a volte immensi, orientarsi in una giungla di informazioni può essere complesso.
Dal punto di vista psicologico è importante che i genitori non facciano confronti tra fratelli e/o sorelle, tanto meno con il proprio percorso di studi non innescare ansia da prestazione e bisogno estremo di competitività, per credere poi che nella vita si è accettati solo se si vince, se si ottiene sempre il massimo, si può amare qualcuno anche per le sue imperfezioni. Il fatto che una scelta sia andata bene per una persona non significa che vada bene per un’altra. Ogni persona è brava in qualcosa, ogni persona ha il suo talento, “siamo tutti geni, ma se giudichi un pesce da come si arrampica su una montagna, penserà tutta la vita di essere stupido”.
Giudicare una persona più o meno brava di un altra può spingere ad una scelta basata sulla sfida finendo per generare fallimento; aspettarsi sempre il massimo da se stessi, pensando forse di essere accettati solo se “perfetti” rende incapaci di tollerare la frustrazione.
L’università è una scelta importante ma non è nemmeno totalmente definitiva. Se ci si rende conto di non aver la scelta migliore si può sempre tornare indietro, trascinare degli studi che non piacciono porta spesso ad abbandono o a percorsi molto lunghi e poco soddisfacenti.
Là fuori il mondo non sempre è meraviglioso, trovare lavoro non è per nulla facile, la sospensione del giudizio dato dalle imprese e più in generale dal mondo del lavoro nei confronti dei diversi tipi di lauree e laureati crea forte instabilità, ma questo non significa dover rinunciare del tutto ai propri sogni.
Anche se a volte sembra che i giovani non sognino nemmeno più, figli di una società liquida e indefinita che crea ruoli sfuggenti e offre poche certezze.
Il compito di accompagnare un giovane o una giovane in questa scelta non è facile neanche per le famiglie e gli insegnanti, che si trovano a dover crescere ed educare in un mondo complesso che rende spesso fragili, che pone di fronte a molteplici possibilità, ma che rifugge la stabilità, che premia più spesso quello che si mostra rispetto a quello che si è.
“I giovani si trovano a dover scegliere non fra un’insufficiente varietà bensì fra una sovrabbondanza di modelli. Con il terribile rischio di sempre: scegliere un modello e dover rinunciare a molti altri altrettanto interessanti. È il rischio di inciampare, scivolare, cadere. Oggi l’ansia, e di conseguenza l’impazienza e la fretta dei giovani, derivano da un lato dall’apparente abbondanza di scelte possibili, dall’altro dal timore di fare una cattiva scelta, o di “non fare la scelta migliore possibile”. In altre parole sono figlie del terrore che una splendida opportunità sfugga quando c’è ancora tempo per coglierla. A differenza di ciò che accadeva ai loro genitori e ai loro nonni, educati durante la fase “solida” della modernità, oggi non ci sono codici di comportamento durevoli o autorevoli abbinabili alle scelte raccomandate, e tali da guidare il giovane lungo un percorso sicuro dopo che ha fatto la sua scelta (o accettato con obbedienza la scelta consigliata da altri). Il pensiero che un passo intrapreso possa essere stato uno sbaglio, e possa essere troppo tardi per contenere le perdite che ha causato, e soprattutto troppo tardi per tornare indietro da quella scelta infelice, continuerà a tormentarli per sempre: da qui dunque quel loro risentimento per tutto ciò che è “a lungo termine”, che sia il progetto della propria vita, o l’impegno nei confronti di altri esseri umani.
Ciò che conta di più per i giovani, quindi, non è “definire un’identità”, ma mantenere la propria capacità di ridefinirla quando è (o si pensa che sia arrivato) il momento di darle una nuova definizione. Se i nostri antenati si preoccupavano della loro identificazione, oggi prevale l’ansia di reidentificazione. L’identità deve essere a perdere perché un’identità che non piace, non piace abbastanza, o semplicemente rivela la sua età rispetto a identità “nuove e migliori” disponibili sul mercato, deve essere facile da abbandonare. Forse la qualità ideale dell’identità più desiderata sarebbe la biodegradabilità.
Poiché le opzioni disponibili non sono fondate su valori durevoli, incontestati e riconosciuti autorevolmente, la valutazione delle scelte non può che seguire le regole dei beni di consumo: l’identità scelta deve essere “messa sul mercato” per “trovare il suo valore”. L’identità progettata ed esibita che non trova e non crea una sua clientela è punita con l’esclusione (il voto contrario, il pregiudizio, la persona è ignorata, snobbata…), che è l’equivalente sociale del bidone dei rifiuti. I più “talentuosi” sono quelli con più contatti sui social network” (Z. Bauman).